lunedì 1 marzo 2010

Ancora su Piazza Fontana...

Il buon Michele Ginevra ha scritto un'interessante pezzo su Piazza Fontana all'interno del suo blog. Lo trovate qui.
Qui di seguito alcune riflessioni suggeritemi dal suo articolo.

Caro Michele,
Sono felicemente sorpreso dalla lettura delle tue considerazioni sul nostro lavoro. Tanto per il “parere autorevole” che ti compete, quanto per l’affetto e la riconoscenza che ho nei tuoi confronti.
Queste tue riflessioni nascono in un contesto “altro” rispetto alle pur piacevoli e gratificanti recensioni che Piazza Fontana ha ricevuto sulla stampa generalista. Del resto, quand’anche se n’è parlato sulla stampa di settore, nessuno ha mai toccato in maniera analitica alcuni nervi scoperti di operazioni di questo tipo.
Ritengo necessario approfondire la questione, non tanto per parare gli eventuali colpi e le legittime critiche, quanto perché le cose che dici sono un’innegabile conseguenza di un dibattito sotterraneo che coinvolge autori, disegnatori e addetti al settore da un po’ di anni a questa parte. Non voglio qui dilungarmi sulla annosa questione graphic novel/graphic journalism, ma penso sia utile fare alcune precisazioni atte a comprendere il terreno su cui ci stiamo muovendo.
Alcuni mesi fa, poco prima che il libro venisse pubblicato, Francesco ha divulgato alcune immagini tratte dal fumetto sul forum di Comicus. Per farla breve ne è nata una vivace polemica incentrata, più che sul nostro lavoro, sulla linea editoriale della casa editrice.
La critica mossa ai tipi di BeccoGiallo verteva essenzialmente sull’assunto che i loro autori non fossero pienamente e personalmente coinvolti nelle spinose tematiche trattate dai libri in catalogo e che quindi la qualità dei singoli prodotti fosse altalenante. Contemporaneamente si poneva la questione della scelta editoriale delle tematiche trattate.
A chiarimento riporto un commento (peraltro divertente) di Roberto Recchioni:
Per me, di certe faccende, ne devi scrivere se te le senti addosso, se hai qualcosa da dire a riguardo. Se invece le devi scrivere perché è l'editore che ti chiede un libro su una determinata strage che ancora manca al catalogo, la cosa mi lascia perplesso.
E ancora, parlando dell’editore:
Per ora ho solo una domanda: quando finiranno le stragi, gli attentati e gli omicidi a cosa si dedicheranno?
Come dite? Siamo in Italia e hanno materiale per i prossimi vent'anni? Sì, è vero. Scusate.
Parlando a titolo personale, come ha già fatto Francesco sulle stesse pagine del forum, ritengo che parte dei dubbi espressi sull’esito di tali operazioni sia plausibile.
Bisogna però fare una considerazione. Se da un lato non mi vergogno a dire che alcuni titoli in catalogo sono fondamentalmente irrisolti su un piano strettamente narrativo (e con questo ci metto dentro anche quel coinvolgimento personale di cui sopra), dall’altro è indubbio che sul versante strettamente editoriale tale operazione stia pagando in risultati commerciali e di attenzione da parte della stampa. Il punto della questione sta a parer mio non tanto nel disquisire su presunte speculazioni da parte dell’editore, quanto nella creazione di una strada percorribile per chi ha l’esigenza di confrontarsi con tali argomenti.
La prima difficoltà riscontrata da me e Francesco è stata proprio la mancanza di punti di riferimento precisi da condividere come base di partenza del nostro lavoro. Qualcuno potrebbe obiettare che di maestri nazionali e internazionali, da seguire sulle orme del “giornalismo grafico”, ce ne sono a decine. Questo è vero. Ma è altrettanto innegabile che è perlomeno fuorviante parlare di graphic journalism verso una linea editoriale che privilegia il taglio documentaristico o la ricostruzione storica, piuttosto che il reportage.
Per trovare nel panorama nostrano esperimenti simili è necessario andare a ritroso negli anni facendo un preciso riferimento ai settimanali a fumetti per ragazzi, la cui impronta è collocabile, senza nulla togliere alla validità e all’efficacia dei risultati espressi, nell’ambito didattico. A me pare invece, ma posso anche sbagliarmi, che BeccoGiallo non abbia questa aspirazione. Piuttosto il tentativo di espandere sotto altre forme e altri media l’attenzione del pubblico verso tematiche commercialmente e culturalmente appetibili, e in questo non ci vedo nulla di male. Poco a che vedere però con il vero e proprio “giornalismo a fumetti”, di cui anche il nostro libro non ha velleità di far parte.
In quest’ottica Piazza Fontana è stata una scommessa. E come scommessa era gravata da enormi punti interrogativi sulle nostre teste.
È vero, siamo esordienti, o quasi. Ma bisognerebbe chiedersi come mai i grandi nomi non si confrontino con questo tipo di realtà editoriale (e qui non mi limito alla casa editrice, ma al tipo di tematiche trattate). Io non penso sia una questione di mancato interesse, quanto una sorta di prevenzione a quella che definirei “autorialità limitata”. In poche parole essere costretti in una gabbia che non lascia troppi margini all’iniziativa personale. Spero vivamente che il reportage dalla Germania di Davide Toffolo segni un’inversione di tendenza.
Piazza Fontana è stata una scommessa, ma anche, scusate il gioco di parole, una commessa.
Eppure, ritornando al discorso di una presunta autorialità, né io né Francesco abbiamo mai pensato allo sbocco editoriale come a una semplice “marchetta”. L’impegno a dare il massimo delle nostre capacità/possibilità (sebbene all’interno di tempistiche “ristrette”), indipendentemente dagli esiti, penso ci sia stato ampiamente riconosciuto. La “commissione” non toglie che il progetto messo in campo sia frutto di un coinvolgimento pratico ed emotivo non indifferente. Avremmo, per convenienza, opportunità o per semplice distanza dagli argomenti proposti, potuto tranquillamente declinare l’offerta.
Così non è stato.
In primis perché eravamo (e ci siamo in corso d’opera) appassionati alla vicenda. In secondo luogo perché, ingenuamente o ambiziosamente, pensavamo di dare con il nostro fumetto un piccolo contributo a questa discussione. Gli esiti commerciali, per diversi motivi che non sto qui ad elencare, sembrerebbero averci dato ragione: una prima edizione nell’ottobre 2009 e due ristampe nel solo 2010 paiono un buon risultato.
Ma questo di per sé non basta a rispondere ad alcuni quesiti che emergono dalla tua riflessione, Michele.
Hai ragione quando dici che “nel documentare e rievocare, nel ritrarre e denunciare, gli autori perdono l'occasione di dare una lettura veramente personale, veramente artistica e autenticamente letteraria dell'accaduto”.
È sicuramente un limite del nostro lavoro e ne siamo consci. L’avevamo messo consapevolmente in conto.
Devo confessare che l’idea di dare una lettura personale dei fatti ci è più volte balzata in testa e solo i preziosi consigli degli amici e la ferma adesione a quel che ci veniva richiesto ci hanno fatto cambiare opinione. Ma di tutto questo non sono pentito. Ritengo che il lavoro non ne abbia perso in onestà.
Abbiamo però provato a dare un valore aggiunto alla nuda e cruda narrazione dei fatti.
Lo abbiamo fatto provando a fotografare la Milano di oggi nelle sue architetture immobili, così come la campagna “svuotata”, simbolo e metafora di un cambiamento sociale, ma anche delle vite troncate dall’esplosione.
Lo abbiamo fatto accompagnando i brani di Patmos alle immagini del boom economico e nelle interviste che Francesco ha curato e dosato con tutta la sua passione civile.
Ma tutto questo, hai ragione, non basta a sognare in grande, a costruire paesaggi narrativi di spessore, a disegnare una realtà storica e/o storicizzata in tutta la sua profondità.
È necessario alzare il tiro, essere più ambiziosi. Imparare ad esserlo.
Così non sono del tutto convinto che ci sia un limite congenito del fumetto italiano. Sta tutto nello stabilire delle basi credibili, delle fondamenta solide.
Ma per farlo bisogna lanciare una sfida e qualcuno deve essere intenzionato a raccoglierla.
Di certo io e Francesco non staremo in panchina.
Un abbraccio fraterno,
Matteo